
La divulgazione sulla pesca tra i consumatori è ancora poco chiara e influenzata da vecchie convinzioni. A poche settimane da Slow Fish 2013 chi compra pesce ancora non sa quali siano gli acquisti sostenibili.
Il 9 maggio ritorna Slow Fish, la manifestazione di Slow Food dedicata alla pesca con lo scopo di divulgare ai consumatori i principi per una acquisto sostenibile e corretto. Ma qual è oggi, dopo anni di lavoro di Slow Fish e non solo, la conoscenza tra i consumatori. La prova del nove è davanti al banco del pesce fresco di un supermercato al centro di Roma.
E risultati sono in parte sconfortanti, in parte comici e alcuni molto sorprendenti.
Richard è il responsabile di questo punto vendita e di altri tre a Roma, sparsi in zone sia popolari che benestanti: “Al mercato del pesce mi rifornisco in maniera diversificata a seconda del punto di vendita: pesce italiano che costa di più per le zone più benestanti, pesce di provenienza estera meno caro, come mazzancolle tropicali o moscardini indonesiani decongelati, per quelle più popolari. La crisi influisce molto e il 70% dei miei clienti ignora il mondo della pesca. Quasi tutti mi chiedono la provenienza ma nessuno mi chiede il metodo di pesca. E ancora c’è molto scetticismo nei confronti dell’allevamento. Quasi tutti chiedono pesce pescato a mare.”
Mediamente il consumatore sa quale pesce comprerà già da casa ignorando completamente le giornate di pesca, o se per motivi meteorologici i pescatori siano usciti o no. Inoltre alla domanda se conosce l’esistenza di una stagionalità la risposta è affermativa ma non sa se quella determinata specie è di stagione o meno. L’unica cosa che sanno è l’esistenza dei blocchi della pesca ma non il periodo.
Richard aggiunge anche che il consumatore non sa quali siano i giorni di pesca, il che porterebbe per le loro tasche un notevole risparmio: “Io li aiuto facendo le offerte del giorno”.
Una cosa è certa: la maggior parte dei consumatori preferisce il pesce pescato e non di allevamento, ma contemporaneamente sta comprando una spigola o un’orata allevata a Civitavecchia o ad Orbetello. L’idea che il pesce di allevamento non sia di qualità è infusa più come convinzione che come certezza. “Signora ma lei il pesce di allevamento lo compra?” “No, per carità, sennò è come il pollo!”.
Non sempre richiedono l’origine ma alla domanda se preferiscono pesce italiano o estero la risposta è secca: deve essere italiano, “perché di qualità e fresco” e contemporaneamente comprano una fetta di salmone norvegese, nonostante l’etichetta sia chiara.
La discriminante che influisce di più è il prezzo. Un prezzo alto allontana l’acquisto da una specie e dal prodotto fresco per rivolgersi al congelato, spesso straniero. Il concetto prezzo uguale pesce di qualità però è ancora radicato. Il cosiddetto “pesce povero”, ossia quell’insieme di specie ittiche che rimane dopo la selezione delle specie commerciali classiche e che quasi sempre non trova un mercato, non è conosciuto o spesso confuso con l’origine del pesce. “Il pesce povero non so da dove arriva e non so cosa mi mangio”. Le specie richieste sono alla fine sempre le stesse: salmone, tonno, orate, spigole per i pesci, calamari, vongole e cozze per i molluschi, gamberi e gamberoni per i crostacei.
Richard aggiunge che il suo cliente medio sa alcuni concetti sulla sostenibilità della pesca ma poi di fatto non lo applica durante l’acquisto. “Ho puntato a crearmi la fiducia in modo che sia io a dirigere un cliente verso un acquisto piuttosto che ad un altro”.
Ma non ci sono solo brutte notizie.
Si insinua silenziosamente un consumatore consapevole che arriva al banco del pesce ed osserva quello che c’è. “Ancora non so quello che comprerò, dipende da quello che c’è!” oppure la signora che compra italiano “perché a km zero”.
Ma il fatto sorprendente è un altro. Tra le decine di consumatori intervistati i più consapevoli e più attenti ad un acquisto diversificato sono gli stranieri: europei o extracomunitari trasferiti in Italia per lavoro. E da loro si riscontra il desiderio di sapere cosa c’è dietro una specie o l’altra. Chi desidera leggere il metodo di pesca sulle etichette, chi compra di allevamento, “perché non ha distrutto i fondali” o chi acquista pesce diverso dalle classiche specie come sgombro e merluzzo.
Come dice Richard “Mi piace avere un consumatore consapevole o che sa già molto sulla pesca. Per me è un grandissimo risparmio di tempo. Inoltre il pesce italiano costa caro, ma spesso dietro quel prezzo c’è un notevole lavoro. Nessuno si chiede perché un gambero asiatico costa meno di uno italiano”.
La strada per la consapevolezza è ancora lunga. I progetti e le campagne per il pesce povero, sostenibile sono tante ma sembrano arrivare ad una piccola parte della popolazione. Con questa nuova rubrica Cose dell’Altro Gusto farà la sua parte indirizzandovi nelle scelte di fronte al banco del pesce per allontanare il serio e reale rischio che corrono i nostri mari: l’impoverimento delle sue risorse ittiche.