Ponza in un bicchiere

Ponza in un bicchiere

Per dar vita al Faro della Guardia le uve Biancolella vengono vinificate mediante una pressatura soffice, seguita da una fermentazione spontanea ed un affinamento sui lieviti di 7/8 mesi. Tutto ciò viene eseguito in una cantina ricavata nella roccia che garantisce alle uve una ventilazione naturale continua. Il prodotto che ne fuoriesce è unico come la terra da cui nasce; ne preserva tutto il lato selvaggio dando però spazio anche ad una parte molto elegante.

In questo periodo dell’anno, con l’arrivo del natale e la rigida arietta invernale che accompagna le nostre giornate, non penso succeda spesso che i nostri pensieri vadano a finire a Ponza: isola ben nota, sopratutto ai romani, come luogo di movida estiva. Eppure, se vi trovaste davanti agli occhi una bottiglia di Faro della Guardia, come mi è ultimamente capitato, il pensiero vi ci volerebbe in un secondo.
Composto al 100% da uve Biancolella, coltivate proprio sulle pendici del monte della guardia di Ponza. Seppur si tratti dell’ultimo nato dell’azienda Casale Del Giglio ad oggi è di certo tra i primi come bontà, grazie all’ambizione dei suoi creatori.
Da questa estate le bottiglie messe in commercio sono andate a ruba, oltre ad essersi subito aggiudicato i 5 grappoli della guida Bibenda 2014, fatto che avrà sicuramente riempito di orgoglio Antonio Santarelli, proprietario dell’azienda, e Paolo Tiefenthaler, l’enologo.

Storicamente le uve Biancolella sono state importate a Ponza nella metà del 1700 dai Borboni e ad oggi la loro coltivazione è permessa solo all’interno delle Isole Pontine. Non stupisce quindi che, data la forte gelosia dei ponzesi verso la loro terra (del tutto giustificata data la sua unicità), la Casale del Giglio abbia dovuto usare molta diplomazia per riuscire ad ottenere la fiducia dei contadini dell’isola (forse anche per questo, purtroppo per noi, la maggior parte delle bottiglie rimarrà al suo interno?).
Per dar vita al Faro della Guardia le uve Biancolella vengono vinificate mediante una pressatura soffice, seguita da una fermentazione spontanea ed un affinamento sui lieviti di 7/8 mesi. Tutto ciò viene eseguito in una cantina ricavata nella roccia che garantisce alle uve una ventilazione naturale continua. Il prodotto che ne fuoriesce è unico come la terra da cui nasce; ne preserva tutto il lato selvaggio dando però spazio anche ad una parte molto elegante.

Al naso non potrete fare a meno di percepire delle forti note iodate seguite da toni floreali, di pesche mature ed agrumi. In bocca esplode vulcanico regalando nuovamente tutti i sapori anticipati all’olfatto. Credo possa meritare un affinamento di uno o due anni in bottiglia, cosa che proverò a fare se riuscirò a rimetterci le mani sopra (opera ardua dato che ne sono rimaste in giro veramente poche bottiglie).
Dopo averlo provato sia questa estate in enoteca che di recente a casa, riconfermo che sta nascendo un grandissimo prodotto. Ho letto che l’obbiettivo dell’azienda (nata su terreni vergini nell’Agro Pontino, grazie all’intuito di Santarelli, nel 1985) è quello di investire sull’isola ingrandendo la produzione per ottenere un bianco di altissimo livello. Visti gli straordinari risultati ottenuti con il Mater Matuta e l’Antinoo non dubito che presto avremo il piacere di regalare ai nostri palati un altro vino eccezionale e (aggiungo con un pizzico di orgoglio) del Lazio!

 

 

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