Ortoressia, vegani e vegetariani e la fabbrica dei sensi di colpa

Ortoressia, vegani e vegetariani e la fabbrica dei sensi di colpa

L’ortoressia: l’ultima scoperta della psicologia in tema di ossessione da cibo sano. Quando i puristi si sentono moralmente superiori

Ieri sera ad una cena di compleanno su una splendida terrazza romana, dopo aver mangiato chili di carne alla brace (e non solo) che Dukan ne sarebbe orgoglioso, si è finiti a parlare di vegetariani e vegani. E sono venuti fuori aneddoti e racconti presi dalla memoria storica di famiglia di ciascuno. C’è chi si è ricordato di quando il nonno scuoiava i conigli, chi di quando la nonna strangolava le galline, e qualcuno ha perfino avanzato dubbi sulla cucina di un tal ristorante, che fantasiosamente avrebbe cucinato carne di gatto. Ecco, se non ci è venuto da vomitare un attimo dopo l’attacco di cannibalismo, è perché ci è venuto da ridere per come saremmo potuti diventare tutti vegani in un solo istante e solo per senso di colpa.

Ma in tempi in cui del mangiar sano e della propria cultura enogastronomica se ne fa una questione di vanto, leggo per caso i risultati di una ricerca americana sull’ossessione da cibo buono, che a quanto risulta dagli studi condotti, porterebbe anche a soffrire di una certa superiorità morale. La recente ricerca condotta dallo psicologo Kendall Eskine della Noyola University di New Orleans, ha analizzato il comportamento di tre gruppi di soggetti che si sono prestati allo studio. Un gruppo ha gustato e valutato solo cibi organici di scarso sapore, un secondo gruppo ha mangiato cibi poco sani, definiti confort food, quelli sui quali ci fiondiamo appena abbiamo un attacco di fame improvviso, o siamo stanchi e nervosi, e un terzo gruppo ha invece gustato cibi neutri.

La ricerca consisteva nel valutare psicologicamente le opinioni dei separati gruppi di soggetti, in merito ad argomenti quali determinati comportamenti trasgressivi, e la loro opinione sull’offrirsi volontari per lavorare gratis. Il risultato è stato che il primo gruppo di degustatori di cibo organico, nei fatti si è dimostrato molto intransigente e feroce nei giudizi. Il che ha portato a valutare il risultato giudicando i consumatori ossessionati dal cibo sano, come soggetti tendenzialmente inclini a sentirsi superiori eticamente rispetto agli altri. Ovviamente, la pubblicazione dello studio ha scatenato proteste e critiche da parte dei salutisti che hanno tacciato Eskine di fare propaganda alla grande industria. Moral licensing è il termine psicologicamente usato per descrivere l’atteggiamento di chi ritenendosi onesto e giusto su un determinato aspetto della propria vita, si sente poi “autorizzato” ad assumere comportamenti opposti su altri versanti. Eskine, da parte sua, sottolinea invece, di aver voluto semplicemente dimostrare come i nostri comportamenti da consumatori, vengano notevolmente influenzati dall’etichetta di taluni prodotti bio, che inducono all’acquisto vendendo cibi con promesse di benessere.

E si è già arrivati a parlare di sindrome di ortoressia, quella che colpirebbe tutti coloro che diventano ossessionati dalla ricerca di cibo sano e puro.

Una domenica a pranzo al mare, uno chef con il quale mi sono soffermata a chiacchierare complimentandomi per i suoi piatti, auspicava per il futuro, la creazione di una facoltà universitaria dove si possa studiare il modo migliore di guarire dalle malattie solo attraverso il cibo. Non dubito che il cibo e il mangiar sano siano la soluzione migliore a molti disturbi sintomatici e patologici che si possono manifestare nell’uomo. Esiste già tutta una branca di ricerca sulle intolleranze alimentari e non solo d’altronde. Ma francamente, temo che dalle ossessioni per il cibo sano, ne derivi una fabbrica di sensi di colpa per tutti quelli che per debolezza o svogliatezza non riescono ad adeguarsi al rigore della disciplina alimentare.

Io che ho l’abitudine di tenere sul mio comodino, accanto ai libri sempre una tavoletta di cioccolata a portata di mano, potrei anche sentirmi pericolosamente insurrezionalista se domani si scatenasse un’epidemia vegana.

“Ma questa è un’altra storia”, come dice sempre Lucarelli.

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