
Cristina Bowerman: «il successo non è andare in televisione o avere il ristorante pieno, è semplicemente fare quello che si è in grado di fare al massimo delle proprie capacità»
Ci sono mestieri che ti porti addosso, mestieri che ti rimangono cuciti come un difetto e mortificano la tua personalità e mestieri che invece ti fanno brillare di luce propria. La differenza sta nella passione, quella che guida i desideri e ti fa vivere meglio. Ho sempre un po’ diffidato di chi dice di aver sempre saputo cosa fare nella vita, quelli che a tre anni già sapevano che avrebbero vinto l’Oscar, guidato un’astronave e inventato internet, di solito le cose migliori accadono sbagliando strada, oppure giocando a fare altro. Cristina Bowerman, una laurea in giurisprudenza e una successiva in arte culinaria si è scoperta chef facendo un giro immenso nella vita, andando oltreoceano e tornando, e a chi pensa che facendo altro si perde tempo, risponde che invece è possibile scoprire se stessi e le proprie inclinazioni.
Sei approdata in America con una laurea in giurisprudenza in tasca e ti sei riscoperta chef, come è successo?
C Bowerman: Io mi sono trasferita negli Stati Uniti con l’idea di andarmene proprio dall’Italia, in verità io avevo bisogno di una scusa ufficiale per andare via, ai tempi lavoravo per uno studio legale molto importante che si chiamava Siciliani e Boccero. E quindi mi sono trasferita a S. Francisco dove all’inizio abitavo in una zona pessima di Oakland.
Lì ho ricominciato da zero, e per caso sono andata a lavorare in un caffè molto famoso dove ho cominciato facendo cappuccini e caffè americano. Ma il mio primo lavoro importante è arrivato quando ho cominciato a lavorare per un’importante compagnia americana proprietaria di 16 ristoranti, tutti di gestione diversa e tutti di alta qualità, dove facevo la magnum production manager e avevo sotto controllo tutti i menu dei nostri ristoranti, e selezionavo tutti i piatti del menu affinché fossero effettivamente perfettamente italiani. Quindi per quasi tre anni, ho lavorato per questa compagnia senza mai scoprire una vera e propria vocazione da chef, però il mio lavoro era sempre legato al cibo. Dal1998 inpoi, quando mi sono trasferita a Austin in Texas è scoppiata questa passione per il mestiere dello chef. Avevo appena fondato una compagnia in disegno grafico per il food e guadagnavo talmente tanto che non aveva senso sconvolgermi la vita cambiando mestiere, invece la passione mi portava a frequentare corsi di cucina. E allora ho deciso di laurearmi in arte culinaria, fino a quando ho avuto l’opportunità di lavorare con David Bull con il quale fino ad allora nessuna donna aveva mai avuto la fortuna di riuscire a collaborarci. Il ristorante di Bull, appena un mese fa, è stato nominato tra i migliori dieci ristoranti di tutti gli Stati Uniti.
Ma prima di S. Francisco non ti era ancora mai scoppiata una vera passione per la cucina?
C Bowerman: Ho sempre avuto una grossa passione, nel senso che io ero quella tra gli amici che cucinava, ero un po’ il punto di riferimento. Poi mia padre e mio padre mi hanno trasmesso il gusto delle cose buone, io mi ricordo quando da piccola andavamo al forno a prendere il pane di Altamura, che andavamo a comprare solo in un determinato forno in particolare, tanta della mia memoria d’infanzia è legata al cibo. Ricordo da bambina, quando mio padre per gioco fingeva di fare giochi di prestigio e allora preparava il caramello mandorlato, lo stendeva bollente sul tavolo di granito e questo si solidificava immediatamente davanti allo stupore di noi bambini. Ho scoperto poi successivamente, che nel ramo familiare di mio padre una generazione e mezza fa esercitava il mestiere di ristoratori, e se tu vai a Cerignola esiste ancora il bar pasticceria Vitullo, anche se mio nonno il pasticciere non l’ha mai fatto.
Dal punto di vista di una ex giurista che si è data a un mestiere creativo, quanto la disciplina mortifica la creatività o viceversa può esaltarla?
C Bowerman: Secondo me la disciplina non mortifica la creatività, dipende da come la sai domare, da come la inquadri, a quel punto entra in gioco anche un fattore personale dipende cioè da quanto di te stessa puoi o meglio, vuoi liberare. Secondo me la creatività è in tutti noi, c’è un bellissimo libro The Artist’s Way di Julia Cameron, che parte dal presupposto che in ognuno di noi c’è qualcosa che in particolare piace fare nella vita, basta scoprirlo. Ma anche per scoprire quello che ci piace fare è importante lavorare, facendo magari mestieri diversi. Così come nello sport e quindi nello sforzo fisico è importante capire quali sono le proprie inclinazioni, anche in quello mentale occorre ricercare le proprie attitudini sperimentando. In realtà bisogna lavorarci su, ma indipendentemente dall’aspetto creativo è una di quelle cose che la gente non fa troppo spesso, penso che in genere, ci si dedichi molto poco all’introspezione, fino a quando non succedono delle cose nella vita che ti portano necessariamente a guardarti dentro. A me è successo, e quando ti trovi nella condizione di dover affrontare i tuoi scheletri, necessariamente fai un lavoro su te stessa che ti fa scoprire anche le potenzialità che hai.
Il gusto è una cosa personalissima, ma il palato impara a gustare ogni volta che assaggia qualcosa di nuovo, ti ricordi qual è stato il piatto che è rimasto impresso nella tua memoria del gusto?
C Bowerman: La crema di piselli con il granchio, e poi mi ricordo perfettamente la prima volta che ho mangiato il foie gras, ricordo i sapori e l’odore. E mi ricordo anche la prima volta che ho mangiato una panna cotta alla lavanda, quindi la lavanda inserita in un contesto diverso oltre che i cassetti dove si mettono le lenzuola.
Si può parlare di una cucina di genere o di difficoltà di genere ad emergere?
C Bowerman: Secondo me non esiste la cucina di genere, per me un cuoco è un cuoco e per altro sarebbe impossibile fare certe distinzioni. Il ritardo di genere nell’emergere quanto gli uomini in questo mestiere, è solo dovuto a un meccanismo che si è verificato per secoli in tanti altri campi professionali. La donna per lungo tempo ha svolto questo lavoro in un ambito prettamente familiare e solo per un sostentamento familiare, quando ha deciso di farne anche un mestiere pubblico come ha fatto l’uomo, ha cominciato con un leggero ritardo storico tutto qui.
Cosa si intende per cucina molecolare?
C Bowerman: Per cucina molecolare si intende solo ed esclusivamente l’applicazione della scienza in cucina. Ovvero, vuol dire chiaramente sapere cosa succede a un ingrediente sottoposto a temperature diverse e a commistioni completamente diverse. È semplicemente un’analisi e un’osservazione del prodotto che è sottoposto a condizioni diverse dal normale.
Ma questo è uno di quei mestieri dai quali non ci si scinde mai?
C Bowerman: secondo me tutti i mestieri che sono svolti con grande passione, indipendentemente dal talento ti restano addosso. Quello che dico sempre è che non voglio mai sentire la differenza quando vado a casa e quando vado a lavoro, per me lavoro e casa devono far parte del mio stile di vita. Perché secondo me è l’unica maniera per essere felici, ma soprattutto per raggiungere il successo, dove il successo non è andare in televisione o avere il ristorante pieno, è semplicemente fare quello che si è in grado di fare al massimo delle proprie capacità. E poi sono anche convinta che se brilli di luce propria le persone possono solo esserne attratte.
Il carisma di questa donna è veramente grande!!
Brava Manuela, gran bella intervista!
Grazie Giovanna e grazie Manuela delle belle parole spese a mio favore. Saluti, Cristina
Grazie a te cara Cristina, questa intervista è stata una piacevolissima chiacchierata.