
Chitarre, bassi, batterie, flauti, tastiere e tutti gli altri strumenti formano dei suoni che toccano questa o quella corda suscitandoci emozioni. Ma il silenzio è il suono migliore
L’emozione non ha voce, è vero, ma ha molti suoni. Chitarre e batterie rockettare danno energia, una musica sincopata e ritmica mette allegria, flauti e tastiere insieme a sapienti chitarre e batterie portano alla calma e all’introspezione. Come Dolce acqua (speranza), traccia inserita nel primo disco dei Delirium del 1971, un concept album con un giovanissimo Ivano Fossati. Disco che li res
e famosi, o forse il contrario, per Jesahel brano mistico e hippie con sonorità progressive che molti erroneamente attribuiscono ai Dirotta su Cuba. Un testo quasi inesistente a fronte di cinque minuti e quarantanove secondi di suono, un suono onirico e pochi secondi di parole, giusto per dire che la tempesta interiore non è passata ma si è sulla buona strada. La musica di Dolce acqua non poteva essere più idonea a ispirare simili stati d’animo.
Un po’ come quando si attraversa un periodaccio, uno di quelli in cui non ne va dritta nemmeno una e si comincia a riflettere su se stessi, su quanta responsabilità hanno le proprie scelte sull’andamento delle cose. Allora ci si vede con l’immaginazione in centinaia di scene tipo Sliding Doors, film di Peter Howitt del 1997 entrato nell’immaginario collettivo con Thank You di Dido: e se avessi accettato quel lavoro che non sembrava all’altezza delle mie aspettative? E se fossi rimasto? E se non avessi lasciato? E se non avessi risposto in quel modo? E se mi fossi accontentato? E se non fossi tornato? Sarà banale ma se non avessi fatto tutto questo non sarei la persona che sono adesso. Ed è lì che la coscienza si placa e cerca di trovare pace alla ricerca di qualcosa di buono che è rimasto, di un lato positivo dovuto a tutto il neagtivo passato, che è emerso o si è sviluppato grazie a quello.
Magari ci vuole un’amica che ci trasmette ottimismo e ci presta una lente colorata attraverso la quale guardare le cose in modo doverso. E via con discorsi e discernimenti di ore infinite, in macchina, in posizione “posto di blocco” con l’auto rivolta verso uno spettacolo che sta lì dall’epoca dei greci, che alcuni considerano come relitto, altri come il parco archeologico più grande del mondo, e l’UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’Umanità, la Valle dei Templi. Dall’auto allunghi la mano e tocchi il tempio di Ercole circondato dagli ulivi e dai mandorli, con i fari arancioni puntati contro tutte le notti come uno spettacolo che va in scena da secoli e secoli e ogni volta è un’emozione diversa.
Si sta lì a guardarli dall’auto come fosse una cena a casa con un’amica: birra chiara doppio malto e “foazza”, pizza tipica condita con aglio, olio, pomodoro, sarde e formaggio pepato. Tante, tantissime parole e poi, quando non c’è più fiato rimasto nè birra per ristorare le corde vocali, silenzio. Anche quello è un suono. Il più emozionante di tutti.