
Cibo e identità si collegano strettamente nell’esperienza migratoria. Spesso le prime immagini che i “nativi” si formano dei gruppi migratori – siano essi italiani, cinesi o magrebini – hanno a che vedere con cibi “esotici” in vendita nei mercati o in negozi in mano alle diverse etnie, ai loro odori e colori e al modo di consumarli. Per i nativi il metodo più facile per conoscerli è quello di andare in un ristorante tipico: ne compaiono ovunque ci sia un flusso migratorio. La cucina però non è per le minoranze solo un mezzo per alimentarsi, ma anche uno strumento di identificazione come lo sono la lingua e la musica. Il cibo acquista la funzione di alleviatore di nostalgia, aiuta a “fare casa”. Gli italiani, da parte loro, sono sempre più amanti degli alimenti provenienti da altre culture: falafel, kebab, nachos, salse tex-mex, noodles sono ormai comuni, con la Grande Distribuzione che segna un aumento del 60% nelle vendite. Ad apprezzarli sono soprattutto i giovani tra i 16 e i 45 anni. D’altra parte, oggi in Italia un residente su 14 è straniero ed è straniera un’impresa di ristorazione su 20. I gruppi di emigrati più presenti da noi sono quelli provenienti dall’Est, ma stranamente sono davvero pochi i loro ristoranti. Questo è dovuto forse al fatto che la loro cucina, come tutte quelle dei Paesi freddi che hanno a disposizione pochi sapori per brevi periodi, è limitata, e i migranti sono molto più aperti ad assorbire le proposte del Paese ospitante. Tra le cucine etniche più presenti in Italia, invece, cinese, araba e giapponese meritano sicuramente un’attenzione particolare.
Iniziamo subito col dire che quella che mangiamo in Italia non è la vera cucina cinese: neanche l’involtino primavera è simile a quello che si gusta in Cina. La cucina cinese è legata alla filosofia e alla medicina. Gli alimenti vengono distinti in jin, femminili, umidi e teneri, dunque rinfrescanti come legumi e frutta, e jan, maschili, fritti, speziati, a base di carne, con effetto riscaldante. Un pasto equilibrato dipende dall’equilibrio di questi elementi. La tavola è rotonda, al centro c’è un piano girevole su cui sono disposti i piatti. Non sono presenti coltelli (tutto viene tagliato in cucina), ma solo bastoncini e un cucchiaio per la zuppa. La successione dei piatti non avviene con il nostro criterio ma si cerca l’armonia tra i sapori. Il thè è la bevanda tipica. In un vero ristorante cinese mangiare tutto significa che non si è mangiato a sufficienza! Durante il pranzo si fanno innumerevoli brindisi con alcolici a base di riso o frutta fermentati. Oltre al riso, alimento base è il tofu. Ricavato dal latte di soia, contiene proteine di alto valore, acidi grassi essenziali oltre a vitamine e minerali, è privo di colesterolo e ha poche calorie. Data la vastità del territorio cinese e delle sue diverse produzioni, è corretto parlare di cucine regionali. Nella regione di pechino, il frumento è il cereale di base. La farina viene usata per pasta, focacce cotte al vapore, gnocchetti e frittelle. Il montone e l’agnello sono le carni più usate, quasi sconosciute nel resto della Cina. La verdura più diffusa è il cavolo cinese. Un piatto tipico è l’anatra alla pechinese. La più vasta fra le province cinesi è la regione dello Szechuan. Qui cresce l’omonimo, celebre pepe. Questa regione presenta una cucina calda e piccante, molto speziata, caratterizzata dall’uso di arachidi, sesamo, anacardi, noci e resina di pino.
Nell’est si trova la regione si trova l’area dello Yunnan, famosa per il prosciutto affumicato che i cinesi considerano il migliore al mondo.
Nell’area di Shangai si coltivano orzo, frumento, riso, mais, soia e un’enorme quantità di verdure. Nei laghi c’è abbondanza di pesci, rane e anguille. Per cuocere gli alimenti al vapore si utilizzano le foglie di loto.
Insomma, niente a che vedere con quello che si mangia dalle nostre parti.
Ciò che caratterizza invece la cucina araba è l’utilizzo delle spezie.
Cardamomo, coriandolo, cumino, curcuma sono aromi tipici di questa cucina, ma a causa dell’intensità del loro profumo, vengono spesso eliminati o attenuati nei ristoranti presenti nel nostro paese. Tra gli alimenti comunemente apprezzati in Italia troviamo il pane arabo. Parte fondamentale di questa cucina, è presente a ogni pasto anche perché serve da posata per dividersi il piatto comune. Nel pane arabo viene servito il kebab (carne arrostita). Il tipo di kebab presente da noi è il doener kebab, cioè kebab “che ruota”, chiamato così per via della sua modalità di cottura: uno spiedo verticale che gira su se stesso. La carne, originariamente di pecora o manzo, viene tagliata a fettine, marinata con erbe aromatiche, disposta sullo spiedo fino a formare un grosso cono sulla cui estremità superiore vengono infilzate parti di grasso in modo che sciogliendosi evitino che la carne bruci. Bevanda comune a tutti i popoli arabi è il thè. A seconda delle zone viene aromatizzato con menta, cannella, coriandolo.
Inoltrandoci nell’universo della cucina giapponese, scopriamo che, al pari della cucina cinese, anche qui l’elemento di base è il riso. Cotto al vapore, viene lavorato con l’aceto di riso affinché i chicchi risultino compatti ma non collosi. Quella giapponese è una cucina sana, ricca di pesci e verdure. A colazione i giapponesi mangiano verdure sott’aceto o in salamoia, pesce secco e riso. Base per diversi piatti è il miso, una pasta di soia fermentata.
Tra i piatti celebri ci sono gli onigiri, involtini di riso avvolti in alghe, che possono essere ripieni di pesce o umeboshi (prugne essiccate nel sale). Il sashimi è il tipico pesce crudo tagliato con metodo particolare e codificato (una sorta di Dop del taglio) servito con salsa di soia. Il sushi consiste invece in polpettine di riso cotto e trattato con aceto di riso, zucchero e sale avvolti in alga con guarnizioni di pesce, wasabi e zenzero. Per quanto riguarda “la pasta”; i ramen sono spaghetti all’uovo di origine cinese; gli udon sono spaghetti di grano tenero, mentre le soba sono tagliatelle di grano saraceno che si mangiano sia calde o fredde condite con verdure.
Molto nota è anche la tempura, frittura di pesce o verdure. E’ un prodotto nato dall’incontro tra il Giappone e i marinai portoghesi nel XVI secolo: all’inizio di ogni stagione, i cristiani rinunciavano per quattro giorni alla carne; questi giorni erano detti quattro tempora, da lì tempura. Si tratta di una frittura leggera in abbondante olio di soia. Infine i dolci. Quello tipico è fatto da una sfoglia sottile non zuccherata, ripiena di fagioli rossi dolciastri chiamati azuki.