BIDENDA DAY 2014

BIDENDA DAY 2014

Quest’ultimo fine settimana verrà sicuramente ricordato per le maratone che hanno invaso la capitale: 19.000 partecipanti alla conquista dei fori imperiali, 80.000 per la Roma Fun-Run e  1.000 alla maratona del vino all’Hilton, ovvero il Bibenda Day 2014.

Nessun perdente ma tanti vincitori perché avere la fortuna di assistere ad una degustazione guidata che racconta la storia del vino Italiano riempie sicuramente il cuore di orgoglio.  E’ stato emozionante vedere mille persone sedute in religioso silenzio ascoltare ammutolite storie di grandi uomini che hanno regalato e regalano tutt’oggi lustro e fama all’Italia grazie alla loro opera: il vino.

A dare inizio alle danze è stato il presidente della neonata Fondazione Italiana Sommelier, Franco Maria Ricci. Per chi non lo sapesse quest’ultima è nata a Dicembre ed ha soppiantato la sede dell’Associazione Italiana Sommelier, ovvero l’Hotel Hilton di Roma. Personalmente non amo mai fare polemica ed a maggior ragione in questo specifico caso non entro nel merito perché trovo che la cosa importante sia continuare a dare lustro al vino Italiano, poi che lo si faccia tramite una Fondazione o un’Associazione lo trovo indifferente.

Dopo un breve discorso, il presidente ha lasciato la parola ai 5 relatori preposti a guidare i partecipanti attraverso le 23 etichette in programma.  Mi sono quindi preparata per degustare le tante opere d’arte che ci stavano per servire allineando con precisione i cinque bicchieri che mi trovavo innanzi, come un bambino allinea le matite sul banco il primo giorno di scuola. foto-3

Il primo ad iniziare è stato Massimo Billetto, giustamente assegnato agli spumanti vista la sua passione per gli champagne. Nonostante ciò ha difeso a spada tratta l’Italia, ironizzando un po’ sul fatto che alla Francia è stato regalato un territorio unico ed inimitabile con cui sarebbe stato difficile non ottenere vini eccellenti (seguendo un po’ il filone del “ti piace vincere facile”). L’Italia invece, grazie a grandi uomini che con intelligenza e fatica hanno capito il valore di ciò che avevano, è comunque riuscita a creare capolavori senza tempo, come ad esempio le cinque etichette in assaggio:

– Franciacorta Cuvée Annamaria Clementi Rosé 2005 – Ca’ del Bosco

– Gran Cuvée XXI Secolo 2002 – d’Araprì

– Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti 2002 – Bellavista

– Trento Giulio Ferrari Riserva del Fondatore 1997 – Ferrari

– Soldati La Scolca Brut d’Antan Millesimato 1989 – La Scolca

Di ogni categoria descriverò solo il vino che mi ha emozionata di più perché, trattandosi di vini eccezionali, meritano tutti di essere bevuti almeno una volta nella vita. Per quanto mi riguarda quello che mi ha estasiata di più tra gli spumanti è stato il Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti 2002 (Chardonnay e Pinot Nero).foto-5 Massimo, prima di farci immergere le narici nel bicchiere, ha dedicato qualche parola a Vittorio Moretti definendolo non solo un grande imprenditore ma anche un grande uomo rimasto sempre attaccato alla sua terra, la Franciacorta. Una terra che viene da lui trattata con il massimo rispetto per preservare al massimo l’integrità della materia prima, ovvero l’uva. Quest’ultima viene selezionata in maniera maniacale per la creazione di questo metodo classico, ad esempio le vendemmie vengono fatte in tempi diversi a seconda dell’esposizione del vigneto.

Il 2002 ci viene descritta come un’annata difficile per via degli alluvioni e delle grandinate, ma stranamente risultata ottima per champagne e spumanti. Ritengo sia incontestabile data la bontà di ciò che ho trovato nel bicchiere. Un perlage quasi invisibile, simile a polvere di fata (per chi di voi non l’avesse presente consiglio la visione di Peter Pan), che ipnotizza lo sguardo. Il naso racchiude tutta la franciacorta; la sua mineralità avvolgente, la potenza del suolo caldo e umido e spezie dolci. Ci vogliono 3 o 4 annusate perché il vino riveli la sua vigorosa verticalità che conduce a suadenti profumi di nocciola e mandorla. In bocca è molto morbido e cremoso, dopo una lunga fase in cui riconferma tutti i sentori percepiti al naso, ghermisce la bocca con un travolgente calore quasi fosse un focoso amante.

Dopo una breve pausa passiamo ai vini bianchi:

Costa d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva 2008 – Furore Marisa Cuomo

– Soave Classico La Rocca 2006 – Pieropan

– Trebbiano d’Abruzzo 2001 – Valentini

– Cervaro della Sala 2000 – Castello della Sala

– Friuli Isonzo Rive Alte Sauvignon Piere 1995 – Vie di Romans

 

Tra questi il primo posto sul podio lo assegno al Trabbiano d’Abruzzo 2001 di Valentini. Oltre al fatto che il Trebbiano è il mio vitigno preferito (ma questa è una cosa del tutto personale) ho trovato che per un vino bianco avere 13 anni e portarseli così bene è qualche cosa di fenomenale. Si aggiunge a tutto questa l’immensa ammirazione che provo per Edoardo Valentini, che invece di seguire pedissequamente le orme di famiglia ha scelto di seguire il suo cuore dedicandosi al vino raggiungendo così la vera immortalità.

Dal relatore, Edoardo ci viene descritto come un uomo peculiare, burbero e d’immenso carisma. Ci è stato raccontato che con difficoltà faceva entrare estranei nella sua cantina perché aveva paura che con le suole delle scarpe potessero entrare lieviti estranei. Altra cosa strana, ma da sapere, è che i vini vengono commercializzati non secondo un criterio cronologico ma secondo un criterio qualitativo: quando è pronto, esce. Quindi se il 2009 è pronto prima del 2007, uscirà prima, punto.

Avvicinando il bicchiere al naso la prima cosa che ho notato è stata la somiglianza con il Trebbiano di Emidio Pepe (lo so, sono ripetitiva, lo cito sempre), però dopo questa prima impressione si è aggiunta un’eleganza ed una dolcezza che in quest’ultimo manca. Un corteo di diverse sensazioni sono poi salite verso il mio naso: bergamotto, le foglie secche di thè verde tostato che bevo la mattina, polvere di caffè e il fragrante profumo di croissant integrale. Dopo questa poesia che stordisce i sensi, emoziona il palato con una cremosa freschezza interminabile e regale.

foto-6Un brevissimo accenno devo per forza farlo anche al Friuli Isonzo Rive Alte Sauvignon Piere del 1995 di Vie di Romans. Questo bebè di 19 anni sembrava un vino uscito ieri. Lo dovrebbero provare tutti quelli che se vedono una bottiglia di bianco del 2011 credono che abbia già iniziato il lento ma inesorabile processo di ossidazione. Un vino di una freschezza che lascia sbalorditi.

Altra brevissima pausa di 5 minuti e siamo stati ritrasportati nel mondo del vino Italiano da Daniela Scrobogna che ci ha guidati attraverso i vini rossi dello spirito.

– Rossese di Dolceacqua Galea 2010 – Ka Mancine

– Faro Palari 2007 – Palari

– Bolgheri Superiore Grattamacco Rosso 2006 – Grattamacco

– Boca 2007 – Le Piane

– Tenores 2009 – Tenute Dettori

 

foto-7 Incantata da tutti ma estasiata da uno: Tenores 2009 delle Tenute Dettori. Gli unici trattamenti che vengono svolti in vigna sono con prodotti naturali perché il motto è “meglio perdere l’uva che inquinare la nostra terra”. Per capire l’autenticità di questo vino (100% Cannonau), senza assegnare etichette “biologiche” o “biodinamiche” a cui Alessandro Dettori si è sempre ribellato, basti pensare che sull’etichetta viene riportata la dicitura “ingredienti: uva e zolfo”. Non vengono aggiunti lieviti, il vino non viene filtrato, chiarificato o barricato e non vengono usati vitigni internazionali per addomesticare i selvaggi vitigni sardi. Un’altra definizione a cui Alessandro è allergico è la dicitura D.O.C., perché da lui considerato solo un metodo per riuscire a vendere prodotti di media-bassa qualità. Sulle sue bottiglie di fatti leggerete I.g.t. Romangia, perché è un’area ben più limitata della più generica D.O.C. a cui appartiene il comune di Sennori e Sorso.

foto-8Passiamo ora al vino. Appena lo si avvicina al naso si capisce benissimo che non ci troviamo davanti ad un vino qualsiasi. Ci avvolge immediatamente un profumo di prugna matura per poi passare a ciliegia sotto spirito, mirto, rosa canina e un sentore di smalto e macchia mediterranea. In bocca è pulsante, tondo e potentissimo. Un’esplosione di calore e morbidezza che tira un sorso dopo l’altro. Il mio vicino di tavolo commenta semplicemente “da paura” strabuzzando gli occhi.

Passiamo ora ai rossi profondi, accompagnati dalla suadente voce Paolo Lauciani.

– Barolo Monfortino Riserva 2002 – Conterno

– Irpinia Aglianico Serpico 1999 – Feudi di San Gregorio

– Langhe Darmagi 1998 – Gaja

– Montepulciano d’Abruzzo Villa Gemma 1994 – Masciarelli

– Brunello di Montalcino Riserva 1983 – Biondi Santi

La degustazione inizia con un grandissimo ed emozionante applauso in ricordo di quei produttori che oggi non sono più tra noi. Come ad esempio Gianni Masciarelli scomparso nel 2008 a soli 52 anni, creatore del vino che più mi ha rapita tra i cinque degustati: Montepulciano d’Abruzzo Villa Gemma del 1994. L’azienda viene ora portata magistralmente avanti dalla moglie Marina Cvetic che con estremo rigore continua a dare vita ai sogni di Gianni.

foto-10 Il 1994 è stata un’annata che ha regalato maturazioni perfette, come infatti dimostra questo vino sin dal colore: un intenso granato compatto ed impenetrabile. Il naso è semplicemente didattico e racconta perfettamente il Montepulciano nella sua evoluzione. Strega con sentori di caffè dolce, elegantissima balsamicità, grafite, incenso piccante e sottobosco. Questo massiccio vinone in bocca conquista con avvolgente morbidezza, sembra quasi deliziosamente masticabile. Difficile dimenticarsene anche dopo svariati minuti. Una volta conquistati naso e palato ci lascia con estrema difficoltà finchè, come vittime di un incantesimo, ci sentiamo costretti a ri-deliziarci con la sua  accattivante essenza.

Terminati i vini rossi ho ceduto, e con sdegno ammetto che ho codardamente battuto la ritirata mentre gli altri valorosi soldati del vino si accingevano a degustare i passiti. Ma l’intelligenza di una persona sta anche nel saper riconoscere i propri limiti, e vi assicuro che se fossi andata avanti probabilmente non avrei ricordato con tanta precisione tutti i capolavori che ho provato. Nonostante non sia riuscita ad arrivare fino alla fine questa esperienza mi ha lasciato comunque una bellissima sensazione che purtroppo da un po’ avevo accantonato: l’orgoglio di essere italiana.

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