Nei mesi freddi, pochi piatti riescono a combinare la sostanza e il calore come l’ossobuco con risotto alla milanese. È un piatto che si ritrova spesso sulle tavole lombarde, un classico che racconta la storia di una cucina pragmatica e radicata nel territorio. Una fetta di ossobuco di vitello, cucinata lentamente con verdure e aromi, si sposa con la cremosità del risotto allo zafferano, portando alla luce un equilibrio di sapori che chi vive in città nota ogni giorno nei ristoranti storici di Milano. La sua presenza resta simbolo di una tradizione solida, facilmente riconoscibile anche dai meno esperti, che si avvicinano per la prima volta a questa preparazione intensa e capace di raccontare il territorio attraverso la tavola.
Che carne si usa e perché conta
Il cuore del piatto è l’ossobuco, una fetta ricavata dallo stinco di vitello, tagliata in modo da mantenere al centro l’osso contenente il midollo, elemento chiave per il gusto finale. La scelta tra stinco posteriore e anteriore non è casuale: gli ossibuchi provenienti dai posteriori sono più carnosi e con meno nervature, adatti a ottenere una carne tenera e succulenta. Al contrario, quelli anteriori, meno pregiati e più ricchi di tessuto connettivo, spesso finiscono in brodi o per estrarre il midollo da aggiungere al risotto, un dettaglio che molti sottovalutano ma che rivela quanto la tradizione milanese sfrutti ogni parte dell’animale.

Questo uso mirato spiega anche la diversa consistenza e sapore che ogni pezzo di carne può offrire al piatto finito. Nel corso dell’anno, soprattutto nelle stagioni più fredde, questa distinzione diventa una scelta definitiva per chi cucina il piatto, perché determina qualità e struttura della pietanza. Non è un caso se in molte trattorie storiche lombarde vengono preferiti sempre gli ossibuchi posteriori, una realtà che spesso sfugge a chi vive in città ma assume un ruolo centrale nella riuscita di un piatto tradizionale.
Ossobuco e il risotto giallo: una combinazione di sapori e tradizioni
L’ossobuco si caratterizza anche per la cottura lenta, durante la quale entra in gioco la gremolada, un trito fresco di prezzemolo e scorza di limone che dona una nota aromatica inaspettata. Questo aggiunge leggerezza a una carne ricca e succulenta, una tecnica che dimostra come la tradizione possa andare di pari passo con il bilanciamento dei sapori.
Il contorno ideale di questa ricetta resta il risotto alla milanese, contraddistinto dal suo colore giallo intenso dello zafferano e dalla cremosità, che si ottiene regolando con cura la cottura e il riso utilizzato. L’abbinamento è consolidato da decenni nelle cucine lombarde, ma non è raro vedere versioni diverse con funghi, purè o polenta, che intraprendono un percorso similare ma con varianti regionali. Questo dimostra la flessibilità del piatto nel mantenere la sua radice tradizionale pur adattandosi a nuovi gusti.
Un aspetto che sfugge spesso è come l’ossobuco possa assumere ruoli differenti: da piatto unico completo a secondo sostanzioso, a seconda delle occasioni e delle abitudini culinarie locali. Ecco perché, pur rimanendo uno dei capisaldi della cucina lombarda, è possibile trovare versioni che rispondono a esigenze diverse, senza mai perdere l’identità che lo rende così riconoscibile. In Italia, questa combinazione resta un riferimento durante le stagioni fredde, un simbolo di comfort food radicato in un territorio e nei suoi prodotti.
