Perché il nostro palato si sbaglia? I miti sulle papille gustative che tutti continuano a credere

Perché il nostro palato si sbaglia? I miti sulle papille gustative che tutti continuano a credere

Luca Antonelli

Novembre 28, 2025

Seduti a tavola, la sensazione del cibo in bocca non dipende solo dalla lingua ma da un sistema che coinvolge anche il naso e parti che raramente consideriamo. Molti credono che esistano soltanto zone della lingua specializzate per i sapori: è un’immagine che resiste nelle scuole e nelle conversazioni, ma non corrisponde ai fatti. La percezione gustativa si estende su tutta la lingua e arriva anche dall’area dietro la faringe, tanto che la epiglottide e tratti del palato partecipano alla rilevazione delle sostanze. Questo spiega perché un problema al naso cambia radicalmente come percepiamo un piatto: non è solo gusto, è una rete sensoriale. Un dettaglio che molti sottovalutano è la direzione dell’aria dentro il cranio: l’aria sale e scende nella cavità nasale seguendo percorsi diversi, e questo influenza ciò che attribuiamo al sapore.

Un senso distribuito e il ruolo del naso

La distinzione tra odore e sapore è meno netta di quanto pensiamo. L’aria porta composti volatili verso i recettori olfattivi in due modi: la via ortonasale, quella dell’inspirazione che ci dice cosa c’è nell’ambiente, e la via retronasale, che si attiva quando espiriamo e percepisce la componente olfattiva del cibo che stiamo masticando.

Perché il nostro palato si sbaglia? I miti sulle papille gustative che tutti continuano a credere
Perché il nostro palato si sbaglia? I miti sulle papille gustative che tutti continuano a credere – cosedellaltrogusto.it

È quest’ultima che spesso viene “fatta passare” dalla mente per gusto, così identifichiamo il profumo del cibo come sapore. Nella vita quotidiana lo notano anche chi vive in città: un raffreddore attenua condimenti e aromaticità, perché blocca la via retronasale. In alcuni animali il sistema è ancora più specializzato; per esempio, ricerche su roditori mostrano recettori sensibili alla CO2, per cui l’acqua frizzante può risultare molto diversa per loro rispetto a come la percepiamo noi. Questa sovrapposizione sensoriale ha conseguenze pratiche: chef e tecnici alimentari lavorano sul binomio odore-gusto per bilanciare piatti e prodotti.

Umami, recettori e differenze tra specie

Il gusto noto come umami descrive quella sapidità profonda che si avverte in brodi, carni e alghe. Identificato agli inizi del Novecento, è associato al glutammato monosodico e segnala per il corpo una risorsa proteica. L’origine del termine è giapponese e il sapore è così efficace che quantità minime bastano per modificarne la percezione. Un caso emblematico è l’alga kombu, tradizionalmente usata per ottenere estratti ricchi di glutammato, utili anche per bilanciare l’osmosi in ambienti marini. Un dettaglio che molti trascurano è quanto il glutammato sia distinto dal sale: la soglia di percezione in acqua è diversa e decenni di studi hanno evidenziato recettori specifici che rispondono al glutammato ma non al cloruro di sodio.

Dal punto di vista molecolare, la sensibilità all’umami e ad altri sapori coinvolge recettori formati da proteine codificate da geni specifici. Alcuni di questi geni si sono modificati nel corso dell’evoluzione in base alle abitudini alimentari: il gene T1R1 e altri membri della stessa famiglia regolano la rilevazione di aminoacidi e sapidità. Questo spiega vari comportamenti alimentari negli animali: felini privi di sensibilità al dolce, specie onnivore con recettori ancora attivi o animali che hanno perso la capacità di percepire determinati sapori perché il loro regime alimentare non lo richiedeva. Conoscere questi meccanismi aiuta a interpretare perché certe specie preferiscono un alimento piuttosto che un altro e come la selezione naturale abbia modellato il gusto.

Piccante, grasso e la funzione biologica dei sapori

Il “fuoco” del peperoncino non è un gusto nel senso classico ma una sensazione di dolore provocata da una molecola, la capsaicina, che attiva un recettore del dolore chiamato TRPV1. La lingua non si scalda realmente: i percorsi nervosi interpretano la stimolazione come calore o bruciore. In modo opposto, il TRPV8 risponde a sostanze come il mentolo e produce la percezione di freschezza. Questi recettori sono parte dei circuiti sensoriali che mettono in relazione l’esperienza gustativa con il sistema nervoso centrale. Un fenomeno che in molti notano solo d’estate è la diversa tolleranza al piccante tra culture: alcune zone geografiche lo usano più frequentemente, un aspetto collegato a pratiche alimentari e a fattori ambientali.

Dal punto di vista funzionale, il piccante è una strategia difensiva delle piante: provoca dolore in alcuni animali e li dissuade dal consumare semi o tessuti. Alcune specie vegetali, però, sfruttano il fatto che gli uccelli non sono sensibili alla capsaicina; i semi ingeriti dagli uccelli attraversano l’apparato digerente e vengono dispersI integri, favorendo la diffusione. Sul fronte pratico, questo comporta alcune regole semplici che si imparano nella vita quotidiana: l’acqua non attenua la sensazione perché la capsaicina è poco solubile in acqua; meglio un alimento contenente lipidi, come il latte, o carboidrati che aiutino a rimuoverla. Infine, la percezione del grasso sembra coinvolgere la glicoproteina CD36, implicata nel riconoscimento degli acidi grassi. Studi sugli animali mostrano che l’inattivazione del gene che codifica questa proteina altera preferenze e secrezioni gastrointestinali, suggerendo un ruolo concreto nel comportamento alimentare. Un effetto pratico è che variazioni genetiche e ambientali possono influenzare il rapporto con gli alimenti grassi, e questo ha ricadute sull’alimentazione umana e sulle politiche sanitarie locali.

×